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giovedì 17 marzo 2011

L'importanza di chiamarsi Pippo

Ci sono segreti custoditi con particolare cura: il terzo di Fatima, l'ubicazione di Atlantide, il suono che fa una sola mano, la ricetta della pasta al forno di mia nonna e, da qualche giorno, il fatto che Lorenzo abbia imparato a chiamare per nome i nonni paterni.
Il pargoletto, infatti, si produce in un perfetto "nonno Pippo" e in un più vago "nonna Gigia" che è stato comunque generosamente omologato in nonna Lidia. Neanche a dirlo la performance gli è valsa la nomina ad erede universale di un patrimonio inestimabile di albi a fumetti e spartiti per canti liturguci.

Coi miei suoceri, invece, è rimasto a nonno e nonna, senza nomi propri. Certo, Pippo e Lidia sono molto più facili da pronunciare rispetto ad Erasmo e Nuccia, ma noi stiamo ugualmente cercando di nascondere questa disparità di trattamento tra avi.
Gli esclusi, poverini, potrebbero rimanerci male. E mentre procediamo con i corsi accelerati di Erasmo e Nuccia, evitiamo ogni possibile occasione di incontro tra consuoceri. Sarebbe uno di quei casi in cui viene fuori il Decoubertinismo dei vincitori: un senso di superiorità d'affetti che si esprime con sorrisi compassionevoli e pacche sulle spalle e che raggiunge lo zenit nella frase: " che volete farci, sono bambini".

E anche io e Laura lo abbiamo imparato che sono bambini, soprattutto quando hanno superato i 60 anni.

mercoledì 5 gennaio 2011

Il numero 1


Cari amici, quell’esserino che era un Puntointerrogativo, poi 23 coppie di cromosomi col segno X, poi un Lorenzo neonato, poi un posto assicurato nei parcheggi riservati alle mamme, poi l’occasione per rivedere tuo padre a quattro piedi mentre fa il verso del tricheco, oggi compie un anno.
Dicono che un figlio ti cambia la vita, ma questo dipende molto dalla vita che facevi prima. Trascorsi i primi due mesi, stabilizzati gli orari di sonno, veglia e cibo, ti accorgi che si esce più o meno come si usciva da sposati, si riprende a leggere libri e ad ascoltare musica e le rinunce non sono molte. Certo, fino all'anno scorso, la sera, credevamo di essere stanchi.
In questo anno di silenzio ne è passata di pipì sui pannolini (e qualche volta anche fuori). Le cronache familiari annotano soprattutto 7 mesi di rigurgiti di cui il silenzio del blog vi ha risparmio i particolari più splatter. È stato duro far accettare al nostro orgoglio genitoriale che il sensazionale bambino di cui si è genitori è definito dalla letteratura medica: “vomitatore abituale”. Aspiravamo a qualcosa di più: che so, un posto da tronista con la De Filippi o da capo redattore a Studio Aperto. Ma tant’è.
Da tre mesi a questa parte Lorenzo ha imparato a camminare e a sottoporre a prove di resistenza alle testate tutti i mobili e gli angoli della casa. Si sposta con velocità ed astuzia felina dalle manopole del gas della cucina, alla terrazza dove lo tenta il sapore di un insetto morto, per poi provare e a scaraventarsi giù dalle scale.
A parte le dovute contromisure e pur avendo noi disobbedito a tutti i consigli degli educatori (in altre parole ce lo siamo goduti), Lorenzo non ci ha dato grossi problemi finché non ha imparato a pronunciare correttamente la sua prima parola che è stata “CAC- CA” e che ama ripetere in ogni occasione. All’inizio può sembrare una trovata simpatica, ma alla lunga tocca stare col fiato sospeso sperando che la commessa del negozio, lo zio, l’amico, il datore di lavoro non facciano troppe domande al bambino, meno che mai la temutissima: “Come mi chiamo io?”
Da qualche giorno, e nessuno provi a stabilire collegamenti, ha aggiunto al repertorio lessicale anche “papà” che viene declamato nel tono: urlo di battaglia, allarme anti atomico, festa carioca, loop da discoteca, dolcezza infinita. Non che importi molto, ogni volta mi commuovo lo stesso.
L’arricchimento delle parole e l'indipendenza nei movimenti fa sopravvivere una sola preoccupazione. Tutte le sere, prima di andare a letto, lo prendo in braccio e lo cullo fino a quando non si addormenta. Questa attività è chiaramente un vizio e assecondare un vizio, dicono psicologi ed educatori, può condurre all’assuefazione e creare un carattere capriccioso, intollerante, sregolato e non collaborativo. Sarà, ma io sono convinto di essere rimasto il bravo ragazzo di un anno fa. O no?