La misteriosa ed oscura crescita di una vita in grembo e la notte delle stelle cadenti.
Cento anni fa uno come Pascoli ci avrebbe inzuppato la penna.
Sempre più spesso, tuttavia, sospetto che la poesia ci soccorra tutte quelle volte che la commozione non ci avvolge come ci aspetteremo o come vorremmo. Capita anche agli animi più sensibili, di fronte ad uno spettacolo della natura o dell'arte, di sorprendersi a pensare: "Che cosa dovrei provare?".
Ad esser poeta, forse, ci si può cavare d'impiccio scoprendo una felicità nuova in un'urna molle e segreta o un pianto di stelle in esclusiva per l'atomo opaco del male.
Purtroppo i momenti di vera emozione, che durano per un secondo e ci sorprendono a seguire le scie delle meteore e ad indicarle agli amici, sono anche accompagnati dalla banalità delle parole. In quei momenti rapidi, in fondo, non ci sono criteri validi per misurare le vibrazioni e meno che mai esiste la possibilità di comunicarli.
Tutto questo per cercare di giustificare la timidezza con cui mi appresto a dire che le notti a ridosso di Ferragosto trascorse con Laura, Peppe ed Elina, con un figlio che cresce separato da noi da un diaframma sicuro spesso solo qualche centimentro, sono state stupende.
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