L'ho presa alla lontana per verificare quanti capiranno la battuta del Guinness e per dire che alcune volte, eventi nascosti dietro qualche cancello della memoria, si ripresentano al nostro cospetto. Basta che qualcuno ce li riaccompagni per mano.
A me è capitato con la mia compagna di classe Natalia che ho ritrovato grazie al portentoso Faccialibro. Mi ha ricordato che in terza media terminai un tema su Leopardi scrivendo che se non fosse stato ciò che è stato " probabilmente avremmo avuto un grande poeta in meno, ma un uomo felice in più".
Sono un dilettante in materia di felicità, ma qualche esame universitario superato in letteratura italiana e affini mi fanno guardare con tenerezza a quella ingenuità e a quel periodo ipotetico con cui congedai un tema nell'adolescenza (che è poi ontologicamente essa stessa un periodo ipotetico, ma questa è altra faccenda).
"Ma che concezione avevi della felicità a 14 anni?" mi ha chiesto Natalia. Era una buona domanda. In fondo quel "se" riportato alla memoria valeva anche un "sé".
Non ho investigato molto, anche perché credo che non avrei trovato molto di più dell'abituale spleen di ogni quattordicenne. Sul momento, quindi, non ho risposto.
Da qualche giorno, tuttavia, tra una visita ai negozi per la prima infanzia e una filastrocca indirizzata nei dintorni del pancione, mi ritrovo ogni tanto a fantasticare su quali profonde corde dell'animo avrebbe intonato i suoi versi Leopardi se avesse avuto un figlio.
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