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giovedì 3 settembre 2009

Tra Gibbon e i Righeira

Negli anni dell’università mi appassionò lo studio dell’ultima parte della storia romana. Quella degli imperatori adolescenti, dissoluti o filosofi, e quella degli spiriti lucidi e disperati che contrastavano la decadenza e, nel contempo, la corteggiavano.
Da allora mi attrae il declino e la caduta di ogni impero, persino quello delle stagioni che accompagnano gli anni del nostro vivere.
E sono uno spettatore affascinato anche di questa fine estate, con le cerimonie da spiaggia offese dalle apostasie dei temporali, il rombo quotidiano dei tuoni che si confonde con quello dei fuochi d’artificio per il santo patrono e il malessere dolce che accompagna l'arrivederci agli amici che incontreremo solo fra un anno, se gli dei sono propizi.
Intanto settembre, che conosce la malinconia, prova ad illuderci. Invia le sue giornate calde e sono come generali a presidio dei confini assegnati alle stagioni dal moto di rivoluzione terrestre. Si opporranno con qualche incursione nell’autunno che si appressa, pronto a dilagare e travolgere tutto con i bagliori del suo oro.
E inevitabilmente torno a guardarmi allo specchio e nel riflesso riconosco che questo periodo dell’anno e la mia età si somigliano. La gran parte della distesa estate è alle spalle, alle porte le ricchezze parche e le meditazioni dell’autunno. L’inverno è ancora lontano (eppure agognato) e la primavera, che sembrava imprigionata per sempre nell'ambra di fotografie vecchie venti anni, miracolosamente ritorna a farmi visita e germoglia accanto a me, gioiosa ed inquieta, nella pancia di mia moglie.

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